edizione 2018 del festival dell'arte in strada
Salvarsi dal baratro dell’indifferenza. È in questa complessa sfida che si coglie la cifra di un’arte irruenta come quella circense. La capacità di creare e far crescere una comunità attraverso una proposta artistica è invece il primissimo certificato di garanzia che ne valuta la buona riuscita. La nascita di un legame umano racconta il successo degli sforzi celati durante le lunghe fasi di creazione, preparazione e ricerca. Una comunità come inesauribile risorsa d’energia soccorre l’uomo appassito di fronte agli schermi che gli organizzano la vita.È un caso che proprio mentre un gruppo di acrobati israeliani trascorre la propria residenza artistica negli spazi del Circo all’inCirca, a pochi giorni da Terminal, gli scontri di Gaza uccidano più di cinquanta persone. Intanto un gruppo di circensi mussulmani viene fermato alla frontiera italiana, sembra non potranno raggiungere il festival. Non ci sono delle motivazioni formali, semplicemente il colore della pelle ha la precedenza su qualsiasi altra ragione umana. Il mondo sembra viaggiare a doppia velocità. Tra il pubblico del festival sventola una bandiera palestinese sbattuta in faccia all’esibizione degli israeliani. La libertà incondizionata di opinione, espressione e parola hanno generato una tale babele di significati e informazioni che nessuno osa dire chi stia dalla parte giusta, nessuno osa neppure immaginare che esista una parte giusta. È in questo mescolarsi di stimoli, dubbi e perplessità, mentre una coppia di francesi al quadro aereo mette addirittura in discussione le proprie abilità tecniche, che accade una magia. La profonda leggerezza del circo è riuscita ad eliminare lingue, giudizi e pre-comprensioni. Messa a dormire la logica di un mondo che si nutre di conflittualità, ora sono i corpi a parlare. Danzano, trenta corpi, tanti quanti gli artisti del festival, stanno dimostrando che un marocchino musulmano con la scritta “free palestine” sulla felpa è capace di danzare con una acrobata israeliana senza alcun tabù, che il colore della bandiera non conta, contano le ore di sudore passate a preparare il proprio corpo per renderlo capace di trasmettere emozioni, conta l’esigenza di cercare sempre e senza indugio la verità, conta la ricerca della bellezza. È stato soprattutto questo Terminal 2018, al di là dei successi di pubblico, oltre al sicuro successo di Respire andato in scena all’interno di una suggestiva chiesa sconsacrata, sono state le comunità che ruotano attorno al festival a renderlo un evento carico di senso, vero. Non solo la comunità di artisti che ha vissuto e che normalmente vive negli appartamenti e negli spazi di residenza del Circo all’inCirca, anche la comunità di artisti locali ha dato senso a Terminal: attori, ballerini, visual designer, musicisti friulani. Un grandissimo collettivo che abita una delle piazze più sconosciute della città. L’arte qui non è di strada. Laddove il classico buskers festival tenta di raggiungere l’ignaro pubblico di un centro storico, già attraversato da passanti e turisti, Terminal sceglie i luoghi disabitati della città, consapevole che solo in questo modo può dire qualcosa al mondo, può generare un nuovo senso di appartenenza e di comunità. Non è una scelta radical chic, ma una sorta di vocazione artistica che con tutte le proprie forze sollecita il pubblico a non sostare nelle comodità dell’indifferenza cittadina. Non è scontato trovare l’arte in città: è necessario muoversi per cercarla, scoprirla e farla vivere. Uno scopo comune è il punto di partenza per una relazione efficace. È in questo senso che il circo diventa anche la casa di altre discipline artistiche: all’interno di una sorta di visione circense dello spazio performativo, varie discipline rimettono in discussione i propri canoni e giocano insieme per scoprire un nuovo punto di vista sulla città e sulla comunità artistica locale.Una serie di comunità concentriche, dense di significato e capaci di trovare risposte alternative alle spersonalizzanti logiche globali, questo è Terminal.